Allora, immaginatevi questo: siamo nel 1615, un’epoca dove la parola scritta era un po’ come una magia, capace di trasportarti in mondi lontani. Ed è proprio in questo contesto che Giambattista Basile, napoletano doc, si mette all’opera con “Lo cunto de li cunti”. Un titolo che, se ci pensate, evoca già da solo quel fascino antico, quel richiamo alla tradizione orale, a quelle storie che non hanno tempo.
Basile, quest’uomo di lettere e di cuore, decide di raccogliere cinquanta fiabe popolari della sua Napoli, non solo per raccontarle, ma per farle rivivere, reinventarle in una lingua così ricca di umori e di sapori che sembra quasi di sentire il profumo dei vicoli partenopei. E sapete qual è la cosa straordinaria? Lui pensava ai bambini, voleva divertirli, farli sognare. Ma, ironicamente, queste fiabe finiscono per affascinare anche noi adulti. Perché, diciamocelo, chi non ha bisogno ogni tanto di tornare bambino, almeno con la mente?
Il “Pentamerone”, così lo chiamano anche, non è solo una raccolta di racconti. È un viaggio. Un viaggio dove l’ordinario si mescola con lo straordinario, dove i principi camminano accanto ai pezzenti, e le fate possono essere tanto dolci quanto spietate. Cenerentola, Petrosinella, principi serpenti… suona familiare, vero? Non è un caso che Charles Perrault e i fratelli Grimm abbiano attinto a piene mani da queste storie. Basile, senza saperlo, ha costruito una sorta di ponte tra il folklore napoletano e la grande letteratura europea.
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E poi c’è quella leggerezza nel raccontare, quel modo di giocare con le parole che ti fa venire voglia di leggere ad alta voce, come se fossimo tutti insieme, seduti attorno a un fuoco, a raccontarci storie. Ma non è tutto così semplice, eh! Basile ci sfida anche, ci invita a vedere il lato oscuro della vita, quello che spesso ci fa soffrire, ma che alla fine ci insegna qualcosa. E se ci pensate, è proprio come la vita stessa: un misto di gioie e dolori, di sogni e realtà.
Ma torniamo a noi. Vi siete mai chiesti perché queste storie ci affascinano così tanto? Forse perché, alla fine, ci riconosciamo un po’ in quei personaggi. Chi di noi non ha mai affrontato prove tremende, sperando in una ricompensa che, quando arriva, sembra quasi un miracolo? E ogni fiaba, alla fine, non è forse una piccola lezione di vita, una saggezza trovata nel momento più inaspettato?
Nel primo racconto, ad esempio, c’è Zoza, una giovane donna tanto bella quanto sfortunata. Una bambola fatata, un desiderio irrefrenabile di ascoltare fiabe, e un principe che, risvegliato da un sonno di morte, ci sussurra all’orecchio che ascoltare storie piacevoli è come fermare la vita stessa per un momento, come se tutto il resto sparisse, le preoccupazioni svaporassero. E non è forse questo il potere delle storie? Quello di farci dimenticare per un attimo i nostri affanni?
Insomma, Basile ci ha lasciato un tesoro, un vero e proprio scrigno di emozioni e riflessioni. E allora, se queste pagine riusciranno a portarvi un po’ di quel piacere, beh, avremo fatto tutti un passo in più verso quel mondo incantato che, diciamocelo, non ci fa mai male visitare di tanto in tanto.
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