Va sempre peggio, diciamocelo. Mentre la città cerca risposte concrete su mobilità sostenibile, servizi alla famiglia, decoro urbano e opportunità di lavoro, esplode l’ennesima miccia dall’area del centrosinistra nazionale, così bisognoso di farsi notare da dimenticare in un lampo i problemi reali. In un contesto in cui c’è chi non riesce nemmeno a definirsi unito sull’Europa, sul sostegno alle famiglie o sulla riduzione del divario salariale tra uomini e donne, ecco che spunta l’idea del giorno: risarcire i torti storici inflitti alle donne proponendo di assegnare ai figli un unico cognome, quello materno. Una trovata che sembra catapultata da un talk show pomeridiano piuttosto che da un’assemblea politica con l’obiettivo (teorico) di raccogliere voti su progetti concreti.

Niente di più scontato, dunque, che qualcuno di casa nostra — in cerca di visibilità o di un tema da cavalcare — si avventuri su questa questione. E così, il candidato che avrebbe dovuto portare l’autonomia locale nel cuore, da un momento all’altro si ritrova a trasformare la sfida per la poltrona di primo cittadino in una disputa sui nomi di famiglia. Proprio la persona che, a inizio campagna, si definiva alle prime armi e implorava indulgenza per eventuali gaffe si lascia tentare dalla polemica nazionale, inviando dichiarazioni sull’argomento come se qui a Trento non avessimo urgenze ben più tangibili.

È un copione già visto: si parte promettendo di concentrarsi su progetti legati alla città, sul futuro dei giovani, sulle sfide sociali ed economiche, per poi dirottare l’attenzione su questioni che paiono più adatte a un palcoscenico televisivo che a un programma elettorale serio. Ed ecco che, tra chi vuole tirare giù statue e chi rispolvera i soliti scandali culturali, invece di parlare di asili nido, di sostegno ai genitori, di piani per il lavoro femminile o di riduzione del traffico, ci ritroviamo a dibattere sui cognomi. Già, mentre scarseggiano proposte su come realizzare un trasporto pubblico puntuale, su come abbattere le liste d’attesa per le case popolari o su come favorire l’innovazione nei quartieri, si monta una polemica di dimensioni grottesche su chi debba far comparire il proprio nome sul certificato di nascita.

A chi giova questa confusione? Alla comunità di Trento, che tra poche settimane sceglierà il proprio sindaco, di sicuro no. Perché se i cittadini volevano una campagna incentrata su opere concrete, gestioni trasparenti e piani a lungo termine, si ritrovano invece invischiati nel solito canovaccio di stoccate, accuse incrociate e tematiche che potrebbero benissimo restare confinate alle stanze romane. E intanto il tempo scorre, le urne si avvicinano e — come un mantra esasperante — ci risiamo con l’eterno circo politico che ci fa la morale, ma raramente ci risolve i problemi.

Viene da chiedersi: come finirà questa storia? Se partiamo dal cognome, arriveremo al caos totale? Se si dà retta a certi proclami, c’è da aspettarsi un ping-pong di trovate ancor più paradossali. E intanto i cittadini restano lì, ad aspettare risposte serie sulle vere priorità. Sullo sfondo resta un Pd nazionale che sembra avere tante anime in conflitto, e un centrodestra trentino che promette di “non farsi dettare la linea da fuori regione” ma poi finisce per ingolfare il dibattito con faccende che non hanno niente a che vedere con i piani di sviluppo della nostra città.

Il risultato? Una campagna elettorale che rischia di trasformarsi nell’ennesima passerella di trovate fuori tema, dimenticando i nodi reali che questa comunità deve sciogliere: le politiche del lavoro, il sostegno al welfare, la gestione del traffico e la difesa dell’ambiente, tanto per citare i primi che vengono in mente. Possiamo solo sperare che nel tempo rimasto prima del voto — sebbene non sia molto — qualcuno si ricordi che gli elettori vorrebbero farsi un’idea chiara dei programmi, non dei battibecchi sterili. Perché, a forza di indignarci per ogni proposta sconclusionata, finiamo per perderci ciò che conta davvero: una visione su come rendere Trento una città più vivibile, più equa e più moderna. Tutto il resto è, tristemente, rumore di fondo.

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