Il mondo sta diventando sempre più complesso a causa dell’espansione globale e dello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (IA). Ma cosa intendiamo esattamente con “complessità” e come possiamo gestirla? Per esplorare questa tematica, la Fondazione Intercultura ha organizzato un convegno a Firenze dal 4 al 6 aprile scorso, intitolato “Abitare le diversità: culture e nuove complessità“, dove vari esperti internazionali hanno condiviso le loro riflessioni. Tra i relatori vi era il sociologo Piero Dominici, autore di opere significative come “Oltre i cigni neri: L’urgenza di aprirsi all’indeterminato” (FrancoAngeli). Nel suo lavoro, Dominici identifica i “cigni neri” – eventi imprevedibili e rari – come manifestazioni evidenti della complessità.
La “complessità”, secondo Dominici, transcende la sua mera definizione. Si configura come una prospettiva epistemologica e un approccio cognitivo, caratterizzando strutturalmente tutti gli “aggregati organici“, ossia tutte le forme e entità vitali. Discutere di complessità significa riconoscere la dimensione sistemica e relazionale di soggetti, fenomeni e processi, che si manifestano come “sistemi” dotati di dinamiche evolutive non lineari, capacità di auto-organizzazione e “proprietà emergenti” osservabili solo nel corso dell’evoluzione dei sistemi stessi. Dominici afferma che l’opposto della complessità non è la semplificazione, ma il riduzionismo.
La presunzione umana di poter mantenere il controllo su tutto, ricercando ordine ed equilibrio, emerge dalla nostra natura incompleta e vulnerabile, e dalla nostra “razionalità limitata“, termine coniato dall’economista Herbert Simon. È essenziale distinguere tra “sistemi complicati” (gestibili meccanicamente) e “sistemi complessi” (organismi ingovernabili). La complessità non rappresenta un paradigma risolutivo né è sinonimo di design thinking, come spesso erroneamente interpretato. Le soluzioni richiedono un’ottica sistemica che permetta di identificare connessioni e interdipendenze, evitando soluzioni frammentarie.
I dati, pur essenziali, non parlano da soli: richiedono l’intervento di ricercatori e esperti per essere interpretati attraverso l’identificazione di connessioni e correlazioni. L’avanzamento tecnologico e le scoperte scientifiche stanno modificando radicalmente il nostro modo di interagire con la conoscenza.
Con l’avvento dell’IA, Dominici evidenzia una “nuova frattura epistemologica” già dal decennio dei ’90. L’IA offre opportunità immense ma rischia di restare dominio di élite selezionate, continuando a essere gestita da potenti entità private. In ambito educativo, esiste il pericolo di adattare passivamente i sistemi educativi ai cambiamenti tecnologici, spingendo gli esseri umani a “pensare come macchine”, incapaci di affrontare l’indeterminato e di raggiungere livelli significativi di astrazione.
Dominici critica la concezione di una “società-meccanismo“, sostenuta dalla tecnocrazia e dalla tecno-scienza, e basata su “grandi illusioni” che perpetuano l’illusione di eliminare completamente l’errore. Questa visione alimenta una cultura dell’errore e della prevedibilità, contraria ai principi fondamentali dell’apprendimento e della ricerca scientifica, dove l’errore stesso dovrebbe essere valorizzato come strumento di conoscenza e di crescita.
Il convegno ha sollecitato una riflessione profonda sulla necessità di integrare la formazione umanistica con quella scientifica, riconoscendo la tecnologia come parte integrante della cultura umana. Abitiamo in ambienti artificiali, una “nuova natura“, dove è fondamentale non marginalizzare l’umano ma piuttosto valorizzare il “fattore umano” come elemento chiave nella nostra interazione con la tecnologia e la complessità.