Nel libro autobiografico “A taste of my own medicine” del medico internista e reumatologo statunitense Edward Rosenbaum (1915-2009), viene presentata la storia del dott. Jack McKee, un cardiochirurgo brillante e spregiudicato di quarant’anni in un ospedale di San Francisco. Il dott. McKee è molto abile e sicuro di sé, e non esita a fare battute e freddure agli assistenti anche nei momenti più drammatici di un intervento. Tuttavia, la sua vita cambia drasticamente quando gli viene diagnosticato un tumore alla laringe.
Il dott. McKee si trova improvvisamente a dover affrontare le stesse lunghe attese e procedure che i suoi pazienti devono sopportare. Inizia a vedere l’ospedale con gli occhi del paziente, sperimentando in prima persona la supponenza e l’arroganza di alcuni medici, così come gli ostacoli burocratici. Questa esperienza lo porta a una profonda riflessione sulla sua professione e sul suo rapporto con i pazienti.
Durante il suo percorso di guarigione, il dott. McKee incontra June Ellis, una giovane paziente a cui è stata diagnosticata una neoplasia cerebrale in ritardo a causa dell’assicurazione che non ha permesso l’unico esame in grado di diagnosticarla in tempo. Nonostante la prognosi infausta, June ha un atteggiamento positivo verso la vita e verso il prossimo. Il rapporto umano profondo e di grande comprensione che si instaura tra i due aiuta il dott. McKee a cambiare il suo stile professionale.
Dopo l’esito positivo dell’intervento, il dott. McKee diventa un altro medico. Un giorno ordina ai suoi tirocinanti di togliersi il camice e di indossare il pigiama, informandoli che, oltre ai nomi delle malattie, dovranno imparare anche quelli dei malati, perché il loro essere pazienti li rende impauriti, imbarazzati, vulnerabili e perciò bisognosi di attenzione, di aiuto, di ascolto.
Prima di morire, June scrive al dott. McKee una lettera contenente una breve storia che lascia una grande lezione etico-morale. La storia parla di un contadino che cerca di tenere lontani gli uccelli dal suo campo, ma alla fine si sente solo e decide di abbassare le braccia per richiamarli. Questa storia è un invito per il dott. McKee, e per tutti i medici, a imparare ad abbassare le braccia, a mostrare più umanità e comprensione nei confronti dei loro pazienti. Questa lezione è utile sia per gli studenti di medicina, per aiutarli a capire la bellezza del fare il medico, sia per i medici, per incoraggiarli a fare bene il loro lavoro. A tutti loro con le braccia abbassate.
Nonostante la storia narrata nel libro “A taste of my own medicine” sia abbastanza datata, è fortemente attuale nei nostri giorni, considerando l’attuale stato della sanità. Questa non è una critica, ma un monito. La lezione che il dott. McKee impara attraverso la sua esperienza personale come paziente è universale e senza tempo. L’importanza dell’empatia, dell’umanità e del rispetto per l’esperienza del paziente sono valori fondamentali che dovrebbero guidare la professione medica, indipendentemente dal contesto o dal periodo storico. Questa storia ci ricorda che, nonostante i progressi della medicina, il cuore della professione medica rimane la relazione umana tra medico e paziente. E’ un monito per tutti i medici a ricordare l’importanza dell’empatia e dell’umanità nel loro lavoro quotidiano, anche in un sistema sanitario che può sembrare sempre più complesso e burocratico…