
Quando i raduni sedicenti ‘culturali’ diventano passerelle d’ignoranza politica.
Sono bastati pochi interventi sul palco di Piazza del Popolo per trasformare un’idea già di per sé confusa in una kermesse penosa, in cui i relatori hanno sciorinato luoghi comuni e una dose di supponenza che farebbe invidia alla peggior “borghesia salottiera”. E poco importa se la parola “diplomazia” non è mai emersa: la priorità pareva fosse soltanto darsi un tono, con discorsi di una superficialità imbarazzante.
Un carosello di luoghi comuni.
Sventolare la “pace europea da 80 anni” – dimenticandosi dell’ex Jugoslavia, che certo non è in Patagonia – è già un indicatore del livello di preparazione. Ma non finisce lì: gli stessi discorsi sulla “democrazia” del Vecchio Continente sbattono contro la realtà di governi che, ignorando le opinioni dei cittadini, hanno inviato armi all’Ucraina senza nemmeno mettere in bilancio un briciolo di trasparenza.
Che dire poi della “cultura europea” presentata da Vecchioni come una sfilza di nomi altisonanti da sfogliare come figurine? Un discorso superficiale che tradisce una comprensione approssimativa di cosa significhi davvero “avere cultura”. Chiunque abbia a cuore la letteratura, o l’arte, o qualsiasi altra espressione del pensiero, si sarebbe sentito rabbrividire nel sentire citazioni fatte a caso, come bandiere brandite senza costrutto.
Michele Serra e la retorica del nulla.
Se Vecchioni ha reso la “cultura” un chiacchiericcio da salotto, Michele Serra, col suo umorismo fiacco, è riuscito perfino a ricordare la crisi greca. Peccato che proprio certi giornali e certi opinionisti, come lui, latitassero nei momenti più bui per la Grecia, quando l’Europa e l’Eurogruppo hanno messo in ginocchio un popolo intero. Oggi, parla con tono moralistico di un’Italia “viziata e grassa”, senza pensare a quelle migliaia di famiglie che faticano ad arrivare a fine mese, ridotte così anche da trent’anni di austerità e politiche disastrose. Nella sua visione, evidentemente esiste solo la “pancia piena” dei privilegiati come lui.
Assenza di diplomazia (e di buon senso).
Il dato più inquietante? Nessuno ha seriamente pronunciato la parola “diplomazia.” Si preferisce parlare di “pace sì, ma mica tutte le paci” e di contrapposizioni militari come se fosse un videogioco. Nessuno che spieghi come, se davvero ci fosse un briciolo di strategia, si potrebbe trasformare una presunta vittoria di Putin in una sconfitta sul lungo termine, attraverso trattative e relazioni internazionali accorte.
Piuttosto, si ascolta lo show di chi gonfia il petto, predicando una “resistenza ad oltranza” che, a conti fatti, si traduce in un escalation bellica. Ma allora, siamo disposti a mettere gli italiani davanti a una guerra diretta contro la Russia? E soprattutto: siamo sicuri che i cittadini europei siano d’accordo con scelte tanto estreme? Michele Serra ha parlato di “rappresentanza” un paio di volte, e viene da ridere, se si pensa a quanto poco siano stati rappresentati coloro che non volevano l’invio di armi.
Chi paga il prezzo di tanta arroganza.
Alla fine, l’unico aspetto chiaro è la sensazione di trovarsi di fronte a una mascherata: la retorica di un’Europa che si autoincensa senza ricordarsi dei propri fallimenti, la presunta “cultura” esibita come stendardo di superiorità, e l’assoluta mancanza di un discorso coerente su come ottenere la pace che tutti dicono di volere. È la classica recita di una borghesia intellettuale che, protetta dai propri salotti, si scorda la realtà di chi vive con meno di mille euro al mese, ben lontano dai privilegi di un Vecchioni o di un Serra.
In conclusione, questa manifestazione ha messo in scena un pietoso teatrino di semplificazioni e frasi fatte, dimostrando una volta di più come chi si professa “europeista” spesso ignori le contraddizioni interne all’Europa stessa e manchi di proposte serie. Se questa è la “gioiosa macchina da guerra” della cultura europea, c’è davvero poco da festeggiare. “Non perdiamoci di vista“.
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