Mentre l’opinione pubblica, giustamente focalizzata sulle celebrazioni del 25 aprile, commemora la liberazione e i valori di resistenza, un altro tipo di tensione si registra in Medio Oriente. Il quotidiano Haaretz, facendo riferimento a fonti della difesa israeliana riportate anche da media internazionali, afferma che l’esercito di Israele avrebbe completato i preparativi per un possibile intervento militare nella città di Rafah, nella Striscia di Gaza.

Tale zona, che attualmente fornisce rifugio a oltre 1,4 milioni di palestinesi sfollati, potrebbe diventare il teatro di nuovi scontri armati. Rafah viene descritta come un potenziale bersaglio strategico, etichettata come “ultimo avamposto di Hamas” dalle forze israeliane, mentre i civili ivi presenti affrontano una realtà di estrema precarietà, tra i pericoli di bombardamenti, carestie e malattie.

Nonostante l’urgenza di protezione civile sottolineata dalle comunità internazionali, l’esercito di Israele si dice pronto ad agire non appena riceverà l’approvazione governativa. In questo contesto delicato, emergono tensioni geopolitiche complesse, con fonti egiziane che riportano ad Al-Araby Al Jadeed, giornale con sede a Londra, un presunto accordo tra gli Stati Uniti e Israele che permetterebe di procedere con l’attacco a Rafah in cambio di una risposta contenuta verso azioni iraniane, le quali includono lanci di missili e droni in rappresaglia al bombardamento di una sede diplomatica iraniana a Damasco.

Le immagini satellitari rilasciate dall’Associated Press evidenziano un’espansione dei campi provvisori nelle vicinanze di Khan Younis, lasciando presagire un’eventuale evacuazione di massa dai confini di Rafah. Queste operazioni hanno riacceso le critiche a livello globale, date le condizioni già disastrose in cui si trova la Striscia di Gaza, con una carenza cronica di servizi essenziali e strutture di soccorso adeguate.

Il silenzio del governo israeliano sulle questioni sollevate dalla stampa nazionale e internazionale non fa che aumentare il senso di urgenza e preoccupazione per le possibili conseguenze di un’escalation militare su una popolazione già segnata da anni di conflitto.

Nel frattempo, il discorso politico negli Stati Uniti vede protagonista l’ex speaker della Camera, Nancy Pelosi, la quale ha espresso preoccupazioni sull’approccio del primo ministro israeliano Netanyahu, affermando che rappresenta un ostacolo alla pace e sostenendo la necessità di un cambiamento per favorire il processo di soluzione dei due Stati. Pelosi ha enfatizzato che sebbene si riconosca il diritto di Israele alla difesa, è fondamentale contestare le politiche che impediscono il raggiungimento di un accordo pacifico e sostenibile.

In questo periodo di ricorrenza storica, che invita al ricordo della lotta contro l’oppressione e per la libertà, gli eventi in atto a Rafah sollevano interrogativi sull’impegno collettivo verso la pace e il rispetto dei diritti umani a livello internazionale.

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